Se c’era una regione italiana in cui
non si poteva non realizzare un Presidio Slow Food sul mais questa è il
Veneto. Tutta la storia gastronomica di questa regione è legata
fortemente a un piatto fondamentale quale la polenta. Nella patria
del mais marano, comunemente, quando si parla di polenta si intende
la polenta gialla. Eppure, fino al secondo dopoguerra, nel Polesine,
nel Trevigiano e nel Veneziano si cucinava soprattutto una polenta
bianca. Considerata di maggior pregio, divideva geograficamente la
pianura e la collina dalla montagna, dove era diffusa quella gialla,
più rustica e più adatta alle condizioni agronomiche e pedologiche.
Il mais utilizzato è il biancoperla,
una popolazione locale acclimatatasi in questa parte della pianura
veneta da tempo: Giacomo Agostinetti, agronomo di Cimadolmo, nei suoi
Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa, editi a
fine Seicento, segnala la presenza diffusa di un sorgoturco bianco,
specie nei “quartieri della Piave”. La sua massiccia diffusione
si colloca nella seconda metà dell’Ottocento, grazie anche alla
sua maggiore conservabilità. Le pannocchie sono affusolate,
allungate, con grandi chicchi bianco perlacei e brillanti, vitrei, si
ricava la polenta bianca detta anche “di Treviso”, fine, delicata
e saporita. Nel 1950 si contavano oltre 50 mila ettari di coltivi.
La polenta bianca si accompagnava a
diversi piatti e nelle campagne si usava consumarla con il latte
freddo, ottenendo una sorta di semolino: i patugoi o pestarei
nell’area collinare e pedemontana, i tacoi della pianura. Ideale e
insuperabile il suo abbinamento con i piatti di pesce povero di fiume
e di laguna: marson, schie, moeche, masenete, gamberi, baccalà nelle
sue diverse preparazioni. Sono quasi fattori di identità culturale,
specie nelle aree collinari, due piatti: polenta e speo e polenta e
osei. Eppure il mais bianco ha rischiato seriamente l’estinzione.
Stagionalità
La raccolta del mais avviene da agosto
a settembre ma come farina può essere reperito tutto
l'anno.
Negli anni Cinquanta le varietà
ibride farinose, più produttive, soppiantarono le coltivazioni
ottenute dalle varietà a impollinazione libera come il biancoperla,
dalle rese più basse. Alcuni coltivatori, in particolare l’azienda
Bellio di Silea, continuarono a coltivare il biancoperla
conservandone la semente. Oggi, un gruppo di agricoltori riuniti in
un’associazione con una sua sede presso l’Istituto Statale di
Istruzione Secondaria Superiore “Domenico Sartor” di Castelfranco
Veneto, mettendo a frutto il lavoro di selezione dell’Istituto di
Genetica e Sperimentazione Agraria Strampelli di Lonigo, ha
recuperato e nuovamente coltivato gli ecotipi originari di
biancoperla.
L’obiettivo del Presidio è
migliorare la qualità della farina di mais biancoperla e diffonderne
la conoscenza. In particolare sarà valorizzata la macinazione a
pietra – già praticata in passato – che esalta le ottime qualità
organolettiche del prodotto.
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