domenica 20 dicembre 2015

L'Ecomuseo del Vanoi (Tn) a Gemona del Friuli

L'Ecomuseo del Vanoi, in Trentino Alto Aduge, è intervenuto all'incontro di Gemona del Friuli per preserntare una ricerca sugli antichi mais.

In Vanoi, nei tempi in cui il paesaggio e gli stili di vita erano radicalmente diversi, ci si dedicava, per integrare la povera dieta alimentare, anche alla coltivazione di alcuni cereali fra i quali il mais (sorc), in dialetto. Nel 2007 è uscita la ricerca “Custodiamo il sorc”: – “…risultato di un lavoro di studio e di riattivazione della filiera tradizionale del granoturco nelle valli del Vanoi e di Primiero promosso dall’Ecomuseo del Vanoi nel contesto delle attuazioni di Agenda 21 locale di Primiero. Le attività si sono svolte a partire da aprile 2005 e si concludono con la diffusione (…) del disciplinare il 21 aprile 2007.” Coordinatori del lavoro: Adriana Stefani e Gianfranco Bettega.

L'intervento ha tracciato le possibilità di sviluppo della filiera del mais, con proposte concrete.

La farina di mais ottofile di Arcevia fraccontata a Gemona del Friuli

 
 

I Marchigiani sono stati grandi consumatori dell'"oro giallo", la classica farina di mais che all'inizio del secolo scorso era il principale alimento di una cucina povera come quella dei nostri contadini. Ora la tipica polenta è diventato cibo ricercato, ambito sulle tavole dei buongustai di ogni ceto sociale.
Purtroppo la riscoperta della polenta ha coinciso con la diffusione dei mais ibridi provenienti dagli Stati Uniti e dal Canada perché la loro resa è superiore a quella delle nostre coltivazioni tradizionali. Il mais tradizionale resiste soltanto in piccole fasce collinari e montane delle Marche e dell'Italia Centrale.
Per non perdere questa tradizione culinaria, su iniziativa dell'Amministrazione comunale di Arcevia e della Pro Loco, l'azienda agricola Montalbini ha messo a coltura da alcuni anni il "mais tradizionale a otto file" nella frazione di Magnadorsa di Arcevia. La farina di mais si ottiene con macinazione a pietra in uno storico mulino ad acqua.
Caratteristica della farina del mais a otto file di Roccacontrada (antico nome di Arcevia) è un odore delicato, aroma intenso e sapore molto gradevole.

Il Mais Piadera raccontato dal Gruppo Densiloc di Fregona a Gemona del Friuli

All'incontro di Gemona sui mais antichi organizzato dall'Ecomuseo delle Acque e dalla Associazione Pan de Sorc, ha partecipato (fra gli altri) il Gruppo Densiloc di Fregona, conosciuto soprattutto per l'esperienza del Giardino della Memoria Fruttale ( le varietà di mele e pere che un tempo conoscevano i nostri genitori e i nostri nonni). Il Giardino ha lo scopo di preservare le meravigliose specie autoctone di meli e peri da una insesorabiler estinzione. Densiloc è una parola dell'antico dialetto di Spert d'Alpago, che significa 'in messun luogo',

Il Gruppo ha raccontato il proprio impegno per salvaguardare il Mais Piadera ( per la produzione di Farina Gialla da Polenta), una antica varietà di granturco colorata da più di tre generazioni nella zona Pedemontana di Fregona. Il diserbo meccanico viene realizzato senza  l'uso di erbicidi, raccolta manuale e selezione delle pannocchie manuale.

Il Mais Spinato di Gandino (BG) a Gemona del Friuli


Un’antica varietà di mais che arrivò nel borgo seriano di Gandino nel 1632 e che oggi, grazie ad un progetto di salvaguardia e valorizzazione, è stata riscoperta in tutte le sue qualità.
E’ il Mais Spinato di Gandino.

Il progetto per la salvaguardia, caratterizzazione e valorizzazione di questa varietà altamente qualitativa ed organoletticamente pregiata di mais, nasce nel 2008.
Anno in cui, dopo il ritrovamento di alcune pannocchie e di alcuni semi custoditi in Ca’ Parecia, antica cascina gandinese, si dà il via ad un’attività che riporterà questi semi alla loro purezza originaria, facendo così tornare a vivere l’antico Mais.
Un seme oggi conservato presso il CRA di Bergamo, nella Banca del Germoplasma di Pavia e nel Svalbard Global Seed Vault, famoso deposito per la conservazione mondiale delle sementi sito in Norvegia, a 1200 km dal Polo Nord.

Le Origini del Mais Spinato

Gli Olmechi erano un’antica civiltà precolombiana che viveva nell’area tropicale dell’odierno Messico centro-meridionale, approssimativamente negli stati messicani di Veracruz e Tabasco sull’Istmo di Tehuantepec. La civiltà olmeca fi orì durante il periodo formativo (pre-classico) mesoamericano, estendentesi circa dal 1400 a.C. al 400 a.C. Gli Olmechi costituirono la prima civiltà mesoamericana e stabilirono le fondamenta delle culture successive, la cui ascesa fu probabilmente favorita dalle pianure alluvionali dell’area che favorirono un’elevata produzione di mais. L’Impero Inca è stato il più vasto impero precolombiano del continente americano. La sua esistenza va dal XIII secolo fi no al XVI secolo e la sua capitale fu Cuzco, nell’attuale Perù. L’impero incaico comprendeva, al momento della massima espansione (verso il 1532), una parte significativa degli attuali stati sudamericani di Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Cile e Argentina. Cochabamba, in Bolivia, era il “granaio degli Incas” per l’abbondante produzione di mais.
Gandino
Il primo luogo in Lombardia a coltivare il Mais.
Ne è testimone la storia: Gandino è stato il primo paese in Lombardia a coltivare il mais. In un suo memoriale del 1881 - “Due autografi contemporanei alla peste del MDCXXX ed alla prima coltivazione del mais in Lombardia” - Filippo Lussana, importante fi siologo, letterato, pittore e poeta di origini bergamasche, narra che la prima coltivazione del mais in territorio lombardo, fu fatta a Gandino nel 1632. Nello scritto si legge che a portare sin qui questo prezioso cereale, dovesse esser stato un foresto, il bellunese Benedetto Miari, nobile che sulle proprie terre venete aveva già aveva sperimentato con successo, dal 1617, la coltivazione del mais. Seguendo in uno dei loro viaggi nella terra natia, Gandino, l’allora Patriarca di Venezia, il barone Federico Maria Giovannelli e i baroni Benedetto e Andrea Giovanelli, Procuratori della Repubblica veneta, Miari portò con sé il prezioso seme, seminandolo nel campo di Clusvene, podere di proprietà proprio dei Giovannelli.
Il Progetto

Profuma di cultura, storia, tradizione. Nasce dalla passione e dalla volontà di un territorio di riscoprire i suoi antichi sapori, le sue unicità all’insegna di un approccio sostenibile. È il Mais Spinato di Gandino, prodotto d’eccellenza che Gandino, località parte del distretto turistico de Le Cinque Terre della Val Gandino e sita a pochi chilometri da Bergamo, ha voluto salvaguardare e valorizzare, riscoprendone tutte le sue qualità.

Innovazione e Tradizione
Nato nel 2008, il progetto per la “salvaguardia, caratterizzazione e valorizzazione della varietà locale di mais denominata Spinato di Gandino” muove sia da un fattore storico, sia dalla forte volontà di riscoprire quel mondo agricolo parte integrante del nostro territorio.

Sviluppo Sostenibile

È la sostenibilità il motore di questo progetto che tocca a 360 gradi cultura, coltura, economia e turismo, coinvolgendo mediante un approccio sistemico tutti gli attori parte di una filiera integrata. Da chi opera nel settore agricolo ai commerrcianti, sino alle scuole, alle istituzioni e ai cittadini.

Sinergia

Il Comune di Gandino, la Commissione De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine), la PRO LOCO, la Comunità del Mais Spinato di Gandino ed il partner scientifico Unità di ricerca per la Maiscultura CRA-MAC di Bergamo hanno saputo fare squadra, determinando la riuscita del progetto.


Il Mais Sponcio è un'antica varietà coltivata nella Val Belluna

Il Mais Sponcio è un'antica varietà coltivata nella Val Belluna.
La pianta presenta spighe affusolate a tutolo bianco, è alta e vigorosa e la sua maturazione è medio-precoce con impollinazione libera.
Tutte queste caratteristiche hanno fatto si che questa particolare pianta di mais si potesse perfettamente adattare alle difficili condizioni climatiche ed ambientali della provincia di Belluno.
Le cariossidi (semi) sono a punta e al tatto pungono. Questa sua particolare caratteristica ha fatto si che il mais, in dialetto, venisse chiamato Sponcio, cioè che punge. Oggi, in onore del nome dialettale, nei negozi troverete quindi il Mais Sponcio.
La polenta che si ottiene dalla farina di mais sponcio è la tradizionale polenta gialla di montagna: densa, soda, forte e profumata, con le caratteristiche pagliuzze marroni.
Il risultato è dovuto all'esclusivo utilizzo di questa farina, che presenta cariossodi dal colore giallo-arancio e consistenza vitrea e dalla successiva macinatura semi-integrale a pietra.
Grazie quindi, alla lontananza dai grandi centri urbani, vie di comunicazione e insediamenti produttivi; il mais sponcio riesce nelle fasce pedemontane feltrine e bellunesi a sopravvivere. Inoltre, in questo modo, fa si che il territorio della Val Belluna non venga abbandonato, ma anzi recuperato e valorizzato.
Tutto ciò è estremamente importante per mantenere un elevato grado di naturalità nella vallata e per mantenere e preservare la biodiversità alimentare e vegetale.
Storia
Nel 1588 si segnala a Feltre la presenza del mais e successivamente, nel 1637, la “panocia” è già capillarmente diffusa sul territorio (Gasperin Danilo, Polenta e formenton 2002).
Da questo periodo storico non si riesce però a risalire ai nomi delle varietà. Infatti è necessario dover attendere fino al 1882, quando G. Cantoni e le successive campionature del 1904 a cura della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Belluno, trovano precisi riferimenti ai mais rostrati o a becco (ovvero al nostro mais sponcio).
Da Gazzi D. (Cereali del Veneto, 2003) emerge che la diffusine del mais (e quindi anche lo sponcio) sia connessa alle emigrazioni in America del Sud di fine '800.
Dal momento in cui il mais entra nella scena montana, prende due strade: lo sviluppo scientifico e la sapienza contadina (Gazzi Daniele, Cereali del Veneto 2003).
Per recuperare quindi, importanti varietà ed ecotipi locali di mais, la Regione Veneto ha promosso negli anni 2000, il progetto “Interventi per la tutela e la conservazione del germoplasma cerealicolo del Veneto”. Questo progetto è stato gestito dall'Istituto “Strampelli” di Lonigo e curato dall'Istituto Agrario di Feltre e dal Museo Etnografico Provinciale.
Il Mais Sponcio è stato scelto come varietà prediletta dagli imprenditori agricoli locali. Dal 1999 la Cooperativa ne ha avviato con successo la sua produzione, promozione e valorizzazione; tanto da dover creare un consorzio di tutela nel 2008.
Il consorzio di tutela
Grazie al grande successo che la coltivazione di questa varietà ha riscontrato, nel 2008 è stato costituito il Consorzio di tutela del Mais Sponcio; finalizzato alla tutela del prodotto e dei produttori.
Ad oggi il consorzio raggruppa XXX coltivatori, con una superficie coltivata di XXX ettari. La coltivazione avviene esclusivamente sul territorio Bellunese e segue un severo disciplinare di produzione, sostenibile ed eco-compatibile. Le successive fasi di molitura e confezionamento sono affidate alla Cooperativa che inoltre ne cura anche la vendita e la promozione.
Riconoscimenti
Per le sue peculiari caratteristiche organolettiche e la sua storia, il Mais Sponcio e, quindi anche la sua farina, sono presenti:

nell'elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Veneto;
tra le varietà a rischio di erosione genetica meritevole di valorizzazione della Regione Veneto;
nei i prodotti della "Carta Qualità del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi;
è presente anche tra i "Sapori della Strada dei Formaggi e Sapori delle Dolomiti Bellunesi".


L'Ecomuseo delle Acque e il Pan di sorc



L’Ecomuseo delle Acque, nato per ritrovare, interpretare, conservare e valorizzare il patrimonio materiale e immateriale del Gemonese, con questo progetto ha promosso e assecondato un modello di sviluppo che si fonda sulla cultura locale e sulle risorse e vocazioni del territorio.
Legare l’identità locale ad un prodotto della tradizione, il pan di sorc, ha significato: indagare nella memoria storica della comunità, riscoprire pratiche colturali e saperi tecnici quasi estinti, prendersi cura di un patrimonio di grande valenza culturale, intervenire sulla qualità delle produzioni e del paesaggio, creare una rete d’imprese che impegna agricoltori, mugnai, fornai, ristoratori e commercianti a lavorare uniti per una finalità comune.
Si è raggiunto il risultato di ridare spazio e prospettive a un’agricoltura legata alle tradizioni e garantire nuovo impulso a una microeconomia che valorizza luoghi, lavori e produzioni di qualità. Il progetto “Pan di Sorc” si è concretizzato anche grazie a un finanziamento del GAL Euroleader.
Ecomuseo delle Acque del Gemonese
largo Beorcje 12 – Borgo Molino
33013 Gemona del Friuli (UD)
+39 338 7187227
e-mail: info@ecomuseodelleacque.it
www.ecomuseodelleacque.it


Il Pan di Sorc
Il pan di sorc è un pane realizzato con la miscela di tre farine: mais (sorc in lingua friulana) a ciclo vegetativo breve (cinquantino), frumento e segale, un tempo si impastava in casa e poi si portava al forno per la cottura. Nelle comunità di Buja e Artegna questo pane diventava dolce e speziato con l’aggiunta di fichi secchi e semi di finocchio selvatico ma anche uvetta, cannella e noci. Questa variante tradizionalmente si preparava per le festività natalizie e si regalava come dolce ben augurante.
Il pan di sorc secco veniva utilizzato anche come ingrediente del crafùt, una polpetta fatta con fegato di maiale macinato finemente e impastata con pane, uva sultanina, scorze di limone, mele, salata e speziata e avvolta nel mesentere (membrana che sostiene l’intestino) dello stesso suino, alla fine cotta in abbondante soffritto di cipolla e servita con polenta morbida di cinquantino.
Entrambe le preparazioni ricordano altrettanti prodotti in uso ancora oggi nelle comunità d'oltralpe frequentate dai fornaciai friulani a cavallo tra Ottocento e Novecento come lo Stollen e il Leberwurst.
L’abbandono della pratica della coltivazione del cinquantino e i mutati gusti alimentari, alla fine degli anni Sessanta avevano relegato il prodotto ad un consumo unicamente casalingo e rischiava l'estinzione.
Il Presidio Slow Food ha ridato slancio all'antica ricetta dolce e riportato sulle tavole il pan di sorc oggi commercializzato sia nella versione dolce che in quella salata.

Il progetto “Pan di Sorc” si pone nell’ottica della valorizzazione del patrimonio culturale locale, un complesso aggregato di natura e storia, abitudini, lingua e tradizioni. La riscoperta di un prodotto agroalimentare della tradizione locale diventa così strumento strategico per occuparsi “attivamente” del territorio, affrontare una serie di argomenti strettamente intrecciati e complementari (esplicitando la vocazione “interdisciplinare” dei processi di promozione della cultura locale), intervenire sulla qualità della vita e del paesaggio, creare una rete di scambi e relazioni con enti, istituti e associazioni per introdurre strategie di sviluppo rurale incentrate sulla sostenibilità ambientale.
Le finalità del progetto sono molteplici: il recupero di vecchie varietà di cereali un tempo coltivate e ora circoscritte a piccolissimi areali di coltivazione; l’organizzazione di una rete di “conservatori” che si impegnino a preservare parte del germoplasma presente a livello locale; l’ottimizzazione delle pratiche agricole attraverso la rotazione e la successione delle colture; la sperimentazione di tecniche agronomiche sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico; l’avvio di una filiera agroalimentare, di raccordo tra produttori, trasformatori e consumatori; la riqualificazione del paesaggio agrario; la trasmissione di saperi e memorie.

Gli Antichi Mais Piemontesi a Gemona del Friuli


Le aree della provincia di Torino tradizionalmente vocate alla coltivazione del mais sono il Canavese, la bassa Val di Susa e la pianura che si estende tra Torino e Pinerolo. La coltivazione di alcune antiche varietà (Pignoletti giallo e rosso, Ostenga, Nostrano dell’Isola, Ottofile bianco, giallo e rosso) è giunta sino a noi. Da questi pregiati mais tardivi, coltivati in tutto il territorio provinciale, si ottengono farine da polenta di qualità e gusto superiore.
Con le farine di antichi mais si confezionano le “paste di meliga” che fanno parte del “Paniere” sulla base di uno specifico disciplinare di produzione che prevede tra l’altro l’utilizzo esclusivo di burro, di uova fresche e di più del 50% di farine di antichi mais. La zona di produzione é tutta la provincia di Torino.
Il Paniere dei Prodotti Tipici della provincia di Torino accoglie i prodotti agroalimentari e agricoli del territorio provinciale, che in base a verifiche tecnico-scientifiche:

sono prodotti in maniera artigianale da produttori locali
appartengono alla tradizione storica locale
sono prodotti con materie prime locali
costituiscono una potenzialità per lo sviluppo locale


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Mais biancoperla a Gemona del Friuli


Se c’era una regione italiana in cui non si poteva non realizzare un Presidio Slow Food sul mais questa è il Veneto. Tutta la storia gastronomica di questa regione è legata fortemente a un piatto fondamentale quale la polenta. Nella patria del mais marano, comunemente, quando si parla di polenta si intende la polenta gialla. Eppure, fino al secondo dopoguerra, nel Polesine, nel Trevigiano e nel Veneziano si cucinava soprattutto una polenta bianca. Considerata di maggior pregio, divideva geograficamente la pianura e la collina dalla montagna, dove era diffusa quella gialla, più rustica e più adatta alle condizioni agronomiche e pedologiche.
Il mais utilizzato è il biancoperla, una popolazione locale acclimatatasi in questa parte della pianura veneta da tempo: Giacomo Agostinetti, agronomo di Cimadolmo, nei suoi Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa, editi a fine Seicento, segnala la presenza diffusa di un sorgoturco bianco, specie nei “quartieri della Piave”. La sua massiccia diffusione si colloca nella seconda metà dell’Ottocento, grazie anche alla sua maggiore conservabilità. Le pannocchie sono affusolate, allungate, con grandi chicchi bianco perlacei e brillanti, vitrei, si ricava la polenta bianca detta anche “di Treviso”, fine, delicata e saporita. Nel 1950 si contavano oltre 50 mila ettari di coltivi.
La polenta bianca si accompagnava a diversi piatti e nelle campagne si usava consumarla con il latte freddo, ottenendo una sorta di semolino: i patugoi o pestarei nell’area collinare e pedemontana, i tacoi della pianura. Ideale e insuperabile il suo abbinamento con i piatti di pesce povero di fiume e di laguna: marson, schie, moeche, masenete, gamberi, baccalà nelle sue diverse preparazioni. Sono quasi fattori di identità culturale, specie nelle aree collinari, due piatti: polenta e speo e polenta e osei. Eppure il mais bianco ha rischiato seriamente l’estinzione.

Stagionalità
La raccolta del mais avviene da agosto a settembre ma come farina può essere reperito tutto
l'anno.


Negli anni Cinquanta le varietà ibride farinose, più produttive, soppiantarono le coltivazioni ottenute dalle varietà a impollinazione libera come il biancoperla, dalle rese più basse. Alcuni coltivatori, in particolare l’azienda Bellio di Silea, continuarono a coltivare il biancoperla conservandone la semente. Oggi, un gruppo di agricoltori riuniti in un’associazione con una sua sede presso l’Istituto Statale di Istruzione Secondaria Superiore “Domenico Sartor” di Castelfranco Veneto, mettendo a frutto il lavoro di selezione dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria Strampelli di Lonigo, ha recuperato e nuovamente coltivato gli ecotipi originari di biancoperla.
L’obiettivo del Presidio è migliorare la qualità della farina di mais biancoperla e diffonderne la conoscenza. In particolare sarà valorizzata la macinazione a pietra – già praticata in passato – che esalta le ottime qualità organolettiche del prodotto.

L'intervento di Cristiano Shaurli a Gemone del Friuli


L'Assessore alle risorse agricole e forestali della Regione Friuli Venezia Giulia, Cristiano Shaurli, è intervenuto all'incontro dei mais antichi a Gemona del Friuli, con affermazioni che non hanno avuto nulla di scontato.
Attorno ai temi dei mais antichi e dell'agricoltura di un tempo, vi è il pericolo dell'effetto nostalgia,
un po' retorico e un po' ideologico.
Il recupero e il rilancio di antiche produzioni deve invece dare risposte certe di redditività alle imprese agricole, per affermare le ragioni di una agricoltura moderna che non rinnega i valori della storia.
Questa è la strada da perseguire, con la tenacia e la passione di sempre.


sabato 19 dicembre 2015

A Gemona l' incontro nazionale dei produttori di mais antichi




Gemona per un giorno è stata la capitale italiana dei mais antichi. Sabato 19 dicembre nella cittadina della pedemontana, su iniziativa dell’Associazione Produttori Pan di Sorc e dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, si sono ritrovati i più importanti coltivatori di mais a impollinazione libera, attivi nell’ambito di una rete nazionale di produttori sostenuta da Slow Food. Gli agricoltori e i “conservatori del seme” che hanno partecipato all’evento (da Friuli, Veneto, Trentino, Lombardia, Piemonte e Marche) sono impegnati nei rispettivi territori a produrre vecchie specie e varietà tradizionali di granoturco legate alla cultura alimentare dell’area di riferimento (tra queste il dente di cavallo, il biancoperla, lo spinato rosso, il dorotea, lo sponcio bellunese, il cinquantino…).

Il programma ha previsto lo svolgimento del convegno “Biodiversità tra il dire e il fare”,presso il Laboratorio sul terremoto in piazza Municipio 5, con la presentazione di progetti di filiere maisicole che puntano alla conservazione della biodiversità e della tutela del paesaggio agrario, e un incontro operativo tra i produttori previsto nel pomeriggio. Nel corso della giornata il centro storico di Gemona ha ospitato una mostra mercato in cui sono state esposte le diverse varietà di mais, con la possibilità di acquistare le farine da polenta e altri prodotti forniti dalle aziende presenti alla manifestazione.

L’incontro di Gemona costituisce un importante riconoscimento dell’attività svolta in questi anni dall’Associazione Produttori Pan di Sorc e dall’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, impegnati in uno strenuo lavoro finalizzato alla conservazione di una varietà di mais, il cinquantino, che rischiava l’estinzione.

La rete dei borghi europei del gusto ( Azione Il Mulino del Gusto e le Vie del Pane) e la redazione della trasmissione multimediale L'Italia del Gusto sono intervenute all'appuntamento. L'Ecomuseo
è stato inserito nella rete internazionale nel 2014.

Nel territorio per la comunità locale - Un museo voluto dalle persone della Valle di Muggio


Consapevole della ricchezza del patrimonio storico, artistico, etnografico e paesaggistico della regione compresa tra il Ceresio e il Lario, il MEVM ne ha promosso dapprima lo studio ed in seguito ha curato numerosi interventi di conservazione. Privilegiando la relazione con il territorio, esso può venir definito come un «Museo nel territorio».
Il MEVM opera nella convinzione che il museo non va concepito come un luogo di raccolta di oggetti ma deve essere intimamente legato al territorio a sostegno dell’identità locale. In tal senso uno degli obiettivi prioritari del concetto di ecomuseo è quello di coinvolgere il più possibile la popolazione locale. Per l’attività il museo conta su una forte base di volontariato mentre per il lavoro concettuale e di progettualità la componente professionale è indispensabile e spetta ai curatori. Gli interventi concreti di salvaguardia del patrimonio condotti dal MEVM hanno contribuito ad accrescere le responsabilità che tutti dobbiamo avere nei confronti del territorio. Il paesaggio con le sue componenti naturali, antropiche ed emotive può essere un ottimo punto di partenza per trovare progetti e interventi futuri sempre più condivisi.


Le origini

I preparativi che hanno portato alla nascita del Museo etnografico della Valle di Muggio (MEVM), costituitosi in Associazione nel 1980, scaturirono dall’analisi che la Regione Valle di Muggio aveva promosso e dalla ricerca di nuove dinamiche di sviluppo endogeno socio-economico e culturale. Il nostro museo nasce in questo contesto su proposta di un gruppo di lavoro composto da persone molto legate alla Valle. Sin dall’inizio però il MEVM ha voluto distanziarsi dalla concezione tradizionale di museo, inteso come edificio contenitore di oggetti da sottrarre al deperimento, per proporre invece uno sguardo diverso ed evitare doppioni all’interno del panorama dei musei etnografici ticinesi. La Valle di Muggio rappresenta un comprensorio con peculiarità d’importanza non solo storica, artistica ed etnografica ma anche paesaggistica e naturalistica. Consapevole di questa ricchezza, il MEVM ha seguito fedelmente questa filosofia e si è impegnato a valorizzare e far conoscere il patrimonio situato tra il Ceresio e il Lario. Privilegiando la relazione con il territorio, esso può venir definito come un «Museo nel territorio»! Centro informativo del Museo è Casa Cantoni a Cabbio; esso ha la funzione di epicentro dove il visitatore può visitare le mostre e ottenere tutte le informazioni utili per poi andare a scoprire nel territorio gli oggetti di interesse museografico. Con questa particolarità di museo orientato al paesaggio il MEVM contribuisce alla rete dei musei etnografici regionali del Cantone Ticino.


Il territorio come patrimonio

In Ticino il MEVM ha avuto senza dubbio un ruolo da pioniere nell’applicazione del concetto di eco-museo. Rispetto ai canoni museografici vigenti fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso l’ecomuseo rappresenta una vera rivoluzione poiché da una parte afferma che ogni singolo bene culturale va inserito nel suo contesto territoriale, e dall’altra sostiene che la popolazione locale deve avere un ruolo attivo nell’identificazione del patrimonio. Il MEVM in linea con questi principi teorici ha dapprima promosso l’inventario, lo studio e la conoscenza del patrimonio architettonico prodotto dalla civiltà rurale, fino ad allora negletto e considerato di nessun interesse anche da parte degli uffici cantonali competenti. In seguito ha realizzato numerosi interventi nel territorio e ha tessuto una rete di relazioni con gli enti locali e la popolazione interessata.


Il pane della nostra terra in Canton Ticino



L'Associazione Arte e Terra di Castello e il Museo etnografico della Valle di Muggio (MEVM) condividono svariati interessi, alcuni sono: la terra, la coltivazione, i prodotti e la loro lavorazione. Laddove i due enti individuano un interesse comune nasce una collaborazione. Questo è il motivo per il quale essi hanno organizzato - coadiuvati dalla Società Mastri Pasticcieri del Cantone Ticino (SMPPC) - la manifestazione "Il pane della nostra terra".

L'intento era quello di promuovere la cultura del pane facendo riferimento alla sua importanza nella tradizione e nell’alimentazione di oggi.

Durante la manifestazione è stato possibile degustare una decina di tipi di pane prodotti con diversi cereali e ingredienti utilizzati un tempo nelle ricette nostrane. La panetteria della Casa San Rocco di Morbio Inferiore ha preparato il pane di segale, alle noci, alle patate, alla farina di castagne, il pane nero, il pane di lino e il pane di orzo e la “lireta". Davide Terzi ha preparato il pane di mistura (con farina di mais macinata al Mulino di Bruzella) e il "pan tramvai" alle uvette. In una sala sono state proiettate fotografie sul tema del pane. Brevi relazioni hanno svolto: Giuseppe Piffaretti, consulente SMPCC (la lavorazione del grano finalizzata al pane) ; Paolo Crivelli, presidente MEVM ha proposto una carrellata di suggestioni che spaziano dal paesaggio al gusto del pane. Maurizio Tondolo, direttore dell'Ecomuseo delle Acque del Gemonese in Friuli, ha parlato del recupero di un'antica ricetta "pan di sorc" prodotto con la miscela di mais (sorc in lingua friulana) a ciclo vegetativo breve (cinquantino), frumento e segale. Infine la dietista-nutrizionista Evelyne Battaglia-Richi ha informato sull'importanza del pane nell'alimentazione.

La Stiria : il cuore verde dell'Austria



L'Ente Turistico della Stiria è intervenuto alle giornate internazionali di Comunicare per Esistere
a Buje (Croazia), per presentare le eccellenze della regione.

La Stiria è il Land più verde dell'Austria, nel suo cuore verde, con oltre il 60% di boschi e foreste. Il paese delle montagne e delle foreste, del vino e dei giardini, delle città e dei divertimenti. In Stiria tutto è tipico. In primo luogo è naturale la cordialità degli uomini e poi i numerosi prodotti che crescono tutto intorno: zucche, mele o lo straordinario vino, i cui grappoli maturano lungo le pendici disposte a sud.
I 117 ristoranti e trattorie Kulinarium e i loro numerosissimi colleghi ovunque nel paese sanno esattamente come deve essere preparata e cucinata la tenera carne Almo, originaria della Stiria, in che modo devono essere servite le numerose pietanze che si ottengono da questo giardino della natura e come viziarvi in tutti i modi possibili.
A proposito: il cuore verde dell'Austria non vi vizierà solo dal punto di vista gastronomico. Ogni paesaggio è in sé un piacere per gli occhi.
Imponente e montuoso a Nord, dove si staglia il massiccio dei Dachstein, con i suoi quasi 3.000 mt di altezza. Lì inizia il Salzkammergut. Dove si staglia anche il più recente parco nazionale austriaco, quello del Gesäuse con le sue gole mozzafiato. Dove in inverno gli sciatori possono contare su 741 km di piste, dove vi aspettano alcuni dei migliori rifugi dell'intero arco alpino e dove anche lo sci di fondo sta diventando sempre più popolare in 15 premiate località.
A sud, dove le dolci colline dei vigneti lasciano spazio a straordinarie passeggiate e i "Buschenschanken" invitano a una golosa pausa. Dove il prosciutto Vulcano e la zucca e le fonti calde sono impiegate per rilassarsi nell'acqua calda, con grande piacere. Oppure nei giardini in cui si coltivano le mele della Stiria. Giri in bicicletta, escursioni, passeggiate: lasciatevi viziare dall'ospitalità della Stiria.
Ma la Stiria è al tempo stesso la terra del divertimento e delle città: Graz è la capitale del gusto e la città della cultura. "Elevate il vostro spirito" nello Schlossberg, con la sua storica torre dell'orologio, lasciatevi stupire dai celebri tetti di colore rosso, patrimonio dell'Umanità, oppure visitate il teatro dell'opera o uno dei numerosi locali, dopo esservi concessi una visita presso il "friendly alien", nella Kunsthaus. E poi stupitevi del fascino tutto mediterraneo di questa pulsante città, la seconda dell'Austria. E come, malgrado ciò, abbia saputo conservare il proprio verde.
Ma il verde è il colore della stessa Stiria, verde come il cuore che ha adottato come proprio simbolo

“Strade e Borghi Europei degli Organi Storici”


Nel settembre a Buje, in occasione delle giornate internazionali di Comunicare per Esistere, si è costituito il Comitato Promotore dell'Itinerario Culturale 'Strade e Borghi Europei degli Organi Storici'. L'adesione dell'Ufficio Turistico della Stiria (Austria).

Il concept che stà alla base della proposta del nuovo itinerario culturale europeo risiede nell’unicità di ogni organo in qualità di manufatto unico, in quanto ogni regione/zona possiede delle proprie specificità appartenenti al territorio. La finalità di questo progetto, destinato a crescere nel tempo, sarà quindi di portare in risalto il turismo culturale nelle zone e nelle regioni europee meno conosciute, con particolare attenzione alla musica organistica su strumenti storici (eseguendo dei concerti solistici o con vari organici), abbinato alle particolarità locali enogastronomiche e/o culturali, per mezzo della divulgazione di iniziative con un piattaforma europea.
Il progetto nasce per iniziativa della Sezione Veneto della “Associazione Italia-Austria”, legalmente riconosciuta, e della “Associazione Internazionale Azione Borghi Europei del Gusto” e sarà sottoposto agli organi competenti dell’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali (http://culture-routes.net/). A capo del Comitato di Promozione vi è la presidentessa dell’Associazione Italia-Austria, dott.ssa Annalisa Banchieri-Rosso. Il prof. Felix Marangoni, nominato direttore artistico e capo del Comitato tecnico-scientifico, valuterà la qualità degli organi, programmando gli eventi organistici in comune accordo con i partner aderenti. Ogni organismo partecipante dovrà nominare un delegato locale disposto a collaborare con il Comitato Promotore.

Sillian nella rete dei borghi europei del gusto




Sono tornati per la rassegna Treviso Cuor di Natale 2015 i Mercatini di Lienz nella centralissima Piazza dei Signori dal 4 al 7 dicembre 2015. Presenti con la tradizionale mostra mercato le casette e le bancarelle di vendita e degustazione dei ghiotti prodotti tipici prodotti tipici del Tirolo Orientale. Birra, Brezel salumi dolci ed altre specialità gastronomiche tirolesi.
Una tradizione che si è rinnovata anche quest’anno grazie alla organizzazione del Comitato promotore Amicizia Treviso Lienz, puntualmente durante il primo fine settimana di dicembre.

Sillian è la località principale dell’Alta Val Pusteria ( Tirolo Orientale) : è un paradiso per chi intende trascorrere vacanze attive all’insegna della natura.Il comune mercantile di Sillian si trova ai piedi del Thurntaler è composto da Arnbach, Sillian e Sillianberg ed è una delle piú grandi località dell’Alta Val Pusteria con oltre 2.000 abitanti. Diversi personaggi importanti per il Tirolo sono nati in questo paese, come p.e. lo scienziato Ignaz Paprion e Josef Schraffl, il primo presidente del Tirolo.

Per chi intende trascorrere le vacanze attive Sillian è proprio il posto giusto. A Sillian per esempio ha origine l’alta via “Karnischer Höhenweg“, un sentiero escursionistico plurigiornaliero di 155 km. Chi invece preferisce la bici si sentirà a suo agio lungo la ciclabile della Drava, un percorso ciclistico di 200 km che porta a Maribor in Slovenia.
L’area sciistica “Hochpustertaler Bergbahnen“ é una delle attrazioni principali in inverno: vi aspettano oltre 45 km di piste perfettamente preparate, i bamini invece si divertiranno nello sci-club Bobo. E tanto per cambiare potreste tuffarvi nella piscina scoperta di Sillian.

Anche dal punto di vista culturale Sillian è una località interessante: offre per esempio l’unica berlina preservata del Medioevo nonché una la chiesa parrocchiale barocca Maria Himmelfahrt cherisale al 1431. Anche numerose feste religiose vi sono celebrate, come la festa di Sacro Cuore nel mese di giugno, quando i fuochi illuminano le montagne ed il cielo notturno.
E se per caso state ancora cercando un souvenir da portare a casa, visitate il negozio Hochpustertaler Bauernladen in piazza mercato nel centro di Sillian che offre un’ampia gamma di prodotti locali.
L’Alta Val Pusteria non è solo una garanzia di bellezza naturale e avventure in montagna, è anche nota per la sua ottima cucina le specialità gastronomiche, i piatti tipici tirolesi combinati con dei prodotti tipici italiani. L’Alta Val Pusteria è conosciuta per l’eccellente cucina che predilige sempre ingredienti d’altissima qualità. L’offerta gastronomica è vastissima e combina meravigliosamente prodotti tipici italiani, dell’Alto Adige e del Tirolo.

I ristoranti nell’ Alta Val Pusteria offrono piatti tipici tirolesi, influenzati dell’Alto Adige e dell’Italia, come diversi tipi di canederli, ravioli ripieni, zuppa d’orzo e dolci tipici come gli „Strauben”, “Buchteln” e frittelle di mele – vere delizie per il palato che possono essere gustate nei numerosi ristoranti e rifugi alpini dell’Alta Val Pusteria. Da non perdere la tipica “merenda contadina”, da gustare a metà pomeriggio che prevede diversi tipi di pane, speck tirolese, “Kaminwurzen” (salsicce affumicate) e un buon bicchiere di vino rosso.

La „cucina su strada“ offre deliziosi piaceri culinari e prodotti tipici della regione:
Più volte d’estate gli albergatori del Alta Val Pusteria presentano la famosa „cucina su strada“ in diversi paesi. Dolci odori della cucina locale e internazionale riempiono il cielo notturno.

Vazzola in 'Grandi Storie di Piccoli Borghi'



I giornalisti e i comunicatori dei borghi europei del gusto hanno scelto di inserire il comune di Vazzola (TV) nella rete internazionale.
La scelta di inserire Vazzola nei percorsi del progetto Grandi Storie di Piccoli Borghi, si collega alla varietà dei temi che l'iniziativa chiama in causa : i percorsi lungo il Monticano (Aquositas) ; i borghi della storia (Abitare la Storia : Borgo Malanotte) ; Vazzola Città del Vino ( Eurovinum, Circuito delle terre del vino) ; I Percorsi della Fede (le Chiese) ; la Marcia dei 3 Mulini ( Molino Saccon-Spinazzè ; Molino Tonello e Molino Vendrame), per il rinvio al tema de 'Il Mulino del Gusto e le Vie del Pane.'
Un viaggio del buon e bello vivere, che conoscerà nel 2016 un percorso particolare anche dal punto di vista enogastronomico.


Da oggitreviso.it :

Vazzola è uno dei più importanti comuni della marca: posto al centro della pianura e circondato dai colli, è attraversato dal Monticano (affluente del Livenza), al quale confluisce il fiume Favero. Confina con i comuni di Fontanelle, S. Polo, Cimadolmo, Mareno di Piave e Codognè ed è costituito dalle frazioni di Visnà e Tezze. La prima, il cui nome deriva da “Vicinia” o “Vicus” (in francese “Visiné o Visné” e in latino “Vicinalis”, cioè “giurisdizione di una città o di un borgo”), nell’antichità formava parte del settimo centenario, uno degli otto in cui era diviso il territorio di Conegliano dove si facevano gli estimi e si riscuotevano le tasse. Tezze, invece, deriva dal toponimo “attegiae” e poi “tiede”, col significato di fienile, tettoia, barchessa, luogo di ricovero attrezzi o posteggio cavalli.
Vazzola vanta una forte produzione viticola. Il territorio rientra nella D.O.C. Piave e produce pregiati vini bianchi e rossi come il Cabernet, il Merlot e il Raboso Piave, tutelato dalla Confraternita del Raboso. Nel comune ci sono una ventina di aziende vinicole e due Cantine Sociali. Vazzola, inoltre, ha esportato in tutto il mondo la famosa “Bellussera”, particolare forma di allevamento della vite scoperta tra il 1850 e il 1900 dai fratelli Bellussi insieme al rimedio contro la peronospora.
Non è da meno la produzione della grappa, di lunga tradizione: dalla grappa fatta in casa, distillata goccia a goccia con la “caliera” (alambicco), fino alla più grande distilleria del Nord Italia.
Vazzola offre un bellissimo paesaggio naturale: un percorso ecologico-sportivo-culturale, che attraversa strade poco trafficate, permette di visitare luoghi caratteristici, come il Parco Rossi, Borgo Malanotte, il Torrente Piavesella, le Vare, Via Cati, il vecchio mulino Favero, Via Monticano, casa “Marchetot”, e di vedere siepi centenarie e alberi secolari, come la sofora nipponica e la “pisoera”.

Codognè in Grandi Storie di Piccoli Borghi



La scelta di inserire Codognè nei percorsi del progetto Grandi Storie di Piccoli Borghi, si collega alla varietà dei temi che l'iniziativa chiama in causa : i percorsi della fede (le Chiese) ; le architetture civili ( le ville venete : Abitare la Storia) ; le aree naturali e i palù (Aquositas) ; le produzioni enogastronomiche ( la mela cotogna).
Un viaggio del buon e bello vivere, che conoscerà nel 2016 un percorso particolare anche dal punto di vista enogastronomico.

Codognè

Il toponimo "Codognè" ha origine dal latino cotognetum, dovuto alle piantagioni di melo cotogno che fiancheggiavano l'antica via romana che, passando per Codognè, collegava Oderzo a Ceneda.
Nel medioevo la località veneta fu centro di un'attiva comunità benedettina. Tra XVIII e XIX secolo Codognè ricorda che sostarono sul suo territorio Napoleone, in transito durante la battaglia dei Camolli, e Ugo Foscolo, ospite a Villa Toderini, luogo di composizione di alcuni sonetti.
Il territorio di Codognè, fertile e perciò in vasta parte agricolo, va ricordato per la presenza di diversi corsi d'acqua e di risorgive, ascrivibili al peculiare paesaggio dei palù tra Livenza e Monticano, di cui Codognè è il fulcro, assieme a San Fior di Sotto e Zoppè.
I palù sono paesaggi naturali tipici di alcune aree pianeggianti tra Veneto orientale e Friuli.
Il termine palù, di antichissima tradizione in diverse aree, è un plurale metonimico che definisce le aree acquitrinose, umide e prative dove cresce il palù, termine singolare che definisce popolarmente un'erba appartenente al genere carex.
I palù sono aree di risorgiva, di grande fertilità ma inadatte al lavoro agricolo: in passato sono state luoghi di raccolta, ma tenute sempre ai margini, in quanto inabitabili, impenetrabili se non per manutenzione o per portarne fuori palù (carex) e legname, data la presenza di zone boschive e di siepi attorno ai prati. I palù hanno sede in aree di dimensioni piuttosto contenute, dislocate ai margini di aree agricole, perlopiù nella fascia mediana della pianura veneto-friulana, dove le acque sotterranee, scendendo dalle prealpi, incontrano un limite argilloso oltre il quale non possono andare, costrette così a emergere in polle di risorgiva.